Insegnanti a confronto
Dibattito serrato, poi in parte ripreso da numerosi interventi
apparsi sui forum di docenti: "sono stata alla presentazione che
l'autore ha tenuto in un circolo culturale della mia città e devo
ammettere che mi ha incuriosito al punto che mi sono sentita in
dovere: A) di verificare la mia capacità di scrivere in corsivo
(pessima), B) di leggere Vite Corsive, C) di ripensare ed
approfondire i temi legati alla filografia.". Giuliana Ammannati,
pedagogista e insegnante, analizzando i propri studenti ha notato
che "si nascondono dietro lo stampatello" per non esporsi. Un'alta
percentuale di ragazzi tra i 14 e i 19 anni (circa il 40-45%) non
sa scrivere in corsivo. La scoperta è emersa da una ricerca durata
oltre 10 anni svolta da Giuliana Ammannati, pedagogista clinico che
opera nelle zone di Pesaro e Urbino e che fa parte
dell'Associazione Nazionale dei Pedagogisti Clinici guidata dal
prof. Guido Pesci. Ammannati, che è anche docente di filosofia,
psicologia, sociologia, pedagogia e metodologia della ricerca al
liceo "Mamiani" di Pesaro, ha iniziato a studiare numerosi anni fa
questo fenomeno, che riscontrava sempre più spesso nella correzione
dei compiti dei propri alunni.
"Ho tentato più volte - spiega - di aiutare i ragazzi a uscire
dal loro stampatello minuscolo, e ho sempre incontrato grandissime
resistenze. La cosa incredibile è che i giovani mi hanno fornito
moltissime motivazioni: la principale è che non riescono, dopo aver
scritto in corsivo, a rileggere quello che hanno scritto. E allora,
per evitare confusione, scrivono in stampatello. Altri, poi, non
sanno trasferire lo stampatello in corsivo o non riescono a legare
bene le consonanti".
In realtà, spiega la professoressa, non si tratta di una
questione prettamente stilistica, né di una crescente omologazione
al modo di scrivere di alcuni giornali né, ancora, un'imitazione
del tipo di scrittura degli sms. C'è, invece, una motivazione
profonda: "L'espressività di questi giovani è parziale, la loro
personalità in formazione è troncata e il rischio dell'omologazione
è grande. Dovremmo cercare di mettere i ragazzi nella condizione di
accogliere se stessi e gli altri, aiutandoli a non avere paura di
rappresentarsi nel proprio spazio: devono poter esprimersi
liberamente senza temere la propria diversità e le diversità degli
altri".