Intervista a Marco Nundini
Lo incontriamo a Roma, nei padiglioni di Più Libri Più Liberi,
fiera della Piccola e Media Editoria, ideale cornice per parlare di
scrittura.
Partiamo lanciando un tema, uno dei tanti a cui il
tuo libro fa da contenitore: i desaparecidos argentini. Il tuo
romanzo li italianizza vero?
Per molti anni ripercorrendo le tappe della storia argentina
abbiamo sentito parlare del periodo tragico degli scomparsi.
Abbiamo inserito nel nostro vocabolario la parola “desaparecidos”.
Ma lo abbiamo sempre fatto comLa copertina di Vite Corsive di Marco
Nundinie spettatori innanzi ad una pagina di storia lontana, al
documentario di un’epoca e di un paese che spesso ci appariva
distante, dimenticando quelle radici che accomunano italiani ed
argentini. Nel genoma di questa nazione sudamericana c’è un po’ di
DNA tricolore. Quello dei nostri emigranti, gli stessi che nel
romanzo, nel tentativo di sfuggire alla miseria, partono dal
Veneto, s’imbarcano sul Principe di Udine e, in una babele di
dialetti, fanno rotta per l’altra sponda dell’oceano. Una comunità
che ha vissuto sulla propria pelle il peggio che il golpe militare
argentino è riuscito a produrre.
Tutto il nero della dittatura nel carattere giallo del
tuo ramonzo dunque?
Non furono pochi gli italiani spariti nel nulla e le vicende dei
miei protagonisti sposano appieno una tragica realtà, incluso il
traffico di neonati sottratti alle madri che erano imprigionate in
stato di gravidanza. Con la consapevolezza che sarebbe impossibile
riassumere tutto nella trama di un giallo che non ha la minima
presunzione di documentare, ma solo d’ispirarsi a tali tragici
eventi. L’emigrazione fa da sfondo a vicende che si svolgono
addirittura qualche anno avanti rispetto la nostra epoca. Un
viaggio nel tempo insolito! E’ attraverso la lettura, lo studio di
datate ed ingiallite lettere che i protagonisti di Vite Corsive
risolvono il loro insolito caso di omicidio. Quelle stesse lettere
che le famiglie di emigranti si scambiavano da una parte all’altra
dell’oceano. Se ci pensi è grazie a queste lettere, grazie alla
parola scritta che ci è pervenuta sino ad oggi, che noi siamo in
grado di ricostruire straordinari, a volte inaspettati, frammenti
di vita, una storia intima che sfugge alla memoria degli storici
che documentano i grandi eventi di ogni epoca. Per scrivere Vite
Corsive ho rivissuto, attraverso le loro missive, i loro diari, le
vite corsive dei nostri emigranti che lasciavano le famiglie per
cercare fortuna, per sfuggire alla miseria.
E’ per questo che Bolaffi ha recensito il tuo libro
definendolo un “giallo filografico”?
La filografia, quella sorta di materia, di collezione, di
studio, che analizza la parola scritta come testimonianza della
nostra civiltà, è certamente stata sdoganata dall’ambito ristretto
della letteratura specializzata dal mio romanzo. La sensuale
ispettrice di polizia protagonista in Vite Corsive è costretta a
chiedere aiuto ad un docente fuori dalle righe e dal tempo: il
Filografo. Con lui inizia un viaggio nel tempo.
Passato e futuro sembrano mescolarsi nel tuo racconto,
quasi a sembrare un tutt’uno…
Vedi oggi sono pochi coloro che ancora scrivono in corsivo. Io
stesso ho perduto parte del ductus della scrittura omologandomi ad
una sorta di stampatello arrotondato. Ma c’è di più:
paradossalmente abbiamo reperti filografici del periodo babilonese
che ci raccontano, a caratteri cuneiformi impressi nell’argilla,
cosa scriveva un principe alla sua innamorata, ma nulla ci è
rimasto dell’approccio sentimentale di due giovani della nostra
epoca fatto a colpi di sms. Prova a pensare alla tua
corrispondenza! Quante mail ed sms hai conservato degli ultimi sei
anni? Pochi vero?. Tra trenta, quarant’anni sarà impossibile
ricostruire frammenti della nostra vita così come il Filografo
riesce a fare per gli emigranti a cavallo tra le due guerre. Per
questo la linea temporale di Vite Corsive si sposta in avanti di
qualche anno, non così tanto però da volerlo fare apparire come un
romanzo di fantascienza.
Dagli emigranti alla filografia come materia d’indagine.
Nell’era digitale più spinta i tuoi personaggi sembrano però
mostrare qualche difficoltà a relazionarsi. Anche questo vedi nel
nostro domani?
I miei personaggi sono lo specchio di una società che immagino,
prodotto di ciò che io stesso sono oggi. Non pensare che io non usi
il computer, anzi forse a volte io stesso eccedo nel suo impiego.
Ciò non toglie che si debba essere consapevoli di ciò che vediamo:
una società fatta sempre più spesso di relazioni virtuali dove la
fisicità o manca del tutto o è spesso male interpretata.